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Il Signore ha bisogno di... un asino
 

 

Ma l'insensato diventerà saggio, quando un puledro d'onagro (asino selvatico) diventerà uomo. Ma l'uomo è scemo di senno, e temerario di cuore; e nasce simile al puledro di un asino selvatico. (Giobbe 11:12)
[...] troverete legato un puledro d'asino... Scioglietelo e conducetelo da me... Il Signore ne ha bisogno... lo sciolsero e condussero il puledro da Gesù e gettarono su quello i loro mantelli ed egli vi montò sopra; molti stendevano sulla via i loro mantelli e altri, delle fronde... gridavano: Osanna benedetto colui che viene nel nome del Signore"... e Gesù entrò in Gerusalemme nel tempio [...](Marco 11:1, 11)

Dopo aver creato ogni cosa, Dio disse: "Tutto è molto buono".
Teniamo a mente un altro passo della Parola di Dio in cui è scritto: "Dio ha fatto l'uno come l'altro, affinché l'uomo non scopra nulla di ciò che sarà dopo di lui" (Ecclesiaste 7:14).
Nel mondo spirituale, la visione che è nel pensiero e nei piani di Dio è impenetrabile dalla nostra natura perché troppo alta e irraggiungibile; la fede ci rivela le imperscrutabili ricchezze dello spirito: "l'uomo naturale (pensieri e speculazioni umane) non può ricevere le cose dello spirito perché gli sono pazzia".
Paragonando l'uomo all'asino, in quanto parte della creazione, egli è soggetto a debolezza ed è vittima del peccato. Ma egli vive anche nella mente del suo Creatore, del Dio che lo libera per mezzo del sacrificio di Cristo e lo eleva a un'alta e sublime vocazione per essere portatore (asino) della sua benedetta Parola (Evangelo di Dio). L'asino è simbolo dell'inutilità, della bassezza e della miseria umana. Quando si dice "sei un asino" si vuole, infatti, indicare la condizione più indegna dell'uomo.
Il Signore poteva esigere una creatura celeste, un cavallo alato o un leone che esprimono sapienza, forza e autorità, invece: "il Signore ha bisogno di un asino". Con l'asino Egli svergogna i savi, i nobili, coloro che si credono capaci.
Quando Dio chiama, scioglie i Suoi asini da ogni legame, religioso o umano, e li chiama ad essere araldi e portatori dell'Evangelo di Dio. Per un asino tale servizio si rivela come un compito molto elevato.
Lloyd-Jones nel suo libro "Il Vangelo di Dio" considera che la chiamata ad annunciare il vangelo di Dio è la meta più alta cui un uomo possa aspirare.
Quando un asino è al servizio del Maestro, caricato dalla Parola di Dio, il popolo presente a Gerusalemme (la Sua Chiesa) è festante, colmo di gioia è offerente perché esulta e gioisce in Colui che gli ha fatto grazia, manifesta la sua liberalità perché si sente partecipe del "dono ineffabile": un popolo che si sente di essere "una gente santa, un popolo che Dio s'è acquistato, per proclamare le virtù di Colui che li ha chiamati dalle tenebre alla sua meravigliosa luce; voi, che già non eravate un popolo, ma ora siete il popolo di Dio; voi che non avete ottenuto misericordia, ma ora avete ottenuto misericordia" (1Pietro 2:9, 10).
Anche nella chiesa di oggi osserviamo la figura dell'asino, protagonista di un evento eccezionale: i suoi piedi non calcano i sentieri polverosi e infangati della Palestina ma poggiano su soffici mantelli gettati dalla folla su accoglienti strade di Gerusalemme; il suo dorso non avverte il peso di un padrone pesante ed esigente, ma un carico "dolce e leggero". E non termina qui per l'asino al servizio della Parola: i suoi occhi e le sue orecchie assistono ad ulteriori onori, le palme agitate al vento, gli "Osanna", è in visibilio, immemore di essere un asino, dimentica le sue origini e "la cava da dove è stato tratto".

Vi sono nel messaggio biblico molti esempi di servitori fedeli e infedeli che ci illuminano intorno alla nostra chiamata per la predicazione dell'Evangelo di Dio.
Il re Saul, chiamato da Dio per essere conduttore di Israele. Una chiamata che avvenne durante la giovinezza di Saul, quando egli era il più piccolo della tribù di Beniamino. Ma i mantelli ceduti sotto i suoi piedi, sopra il suo dorso, le palme che sventolavano e gli osanna che venivano dalla folla permisero a Saul di non riconoscersi più quale egli era: si era dimenticato da dove era stato tratto, si inorgoglì. Questa fu la causa della sua caduta, lo Spirito di Dio si allontanò da lui e con esso la sua presenza, al punto tale che, pur di mantenere il governo del popolo, fu disposto persino a consultare gli spiriti maligni.

Nell'epistola di Giovanni è invece riportata la figura di un certo Diotrefe che pretendeva di ottenere il primato nella chiesa; il gregge che gli era stato affidato da Dio lo immaginava come suo. Era un asino che aveva perso la guida! Considerava i "benefici" (mantelli, palme e gli osanna) che gli erano rivolti, per lui. Fu l'apostolo Giovanni che richiamò alla sua mente le azioni che rendevano inefficace il suo servizio a Dio.

Grazie siano rese a Dio perché in mezzo a un gran nuvolo di testimoni si staglia la figura dell'apostolo Paolo come esempio glorioso di fedeltà a Colui che lo ha chiamato ad essere Suo ambasciatore. Nella penuria e nell'abbondanza non è venuto meno all'adempimento dell'incarico cui era stato destinato: annunciare tutto il consiglio di Dio, sapendo solo che "in Cristo aveva tutto pienamente".
Alla fine dei suoi giorni, mentre si trovava in una squallida e precaria prigione di Roma, affermò che "tutti l'avevano abbandonato": gli onori, insieme agli amici e alla fratellanza facevano parte di un passato ormai lontano. La sua fiducia era rivolta unicamente a Colui che aveva incontrato sulla via di Damasco, a Colui cui aveva prestato il suo dorso, colui che era rimasto ancora al suo fianco concedendogli forza e coraggio per sopportare la grande prova del martirio.
Molti di coloro cui è stato offerto il privilegio di portare la Parola, il messaggio dell'Evangelo, nonostante abbiano ben presente che "senza di Lui non è possibile fare nulla", considerano che gli onori derivanti dal loro servizio a Dio, siano rivolti alla loro propria persona. Il nemico dell'Evangelo ha trovato largo spazio nelle menti di questi "servitori" per evitare che la luce del Vangelo conduca il cuore dell'uomo alla salvezza e che venga meno l'esaltazione di Colui che è il solo degno di onore e gloria. La Parola stessa invita i suoi ambasciatori ad avere un concetto sobrio di sé stessi, affinché, il messaggio predicato possa essere accompagnato dai segni e miracoli che caratterizzavano la chiesa apostolica. È solo la Parola e l'unzione dello Spirito Santo a convincere l'uomo "quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio", non il merito umano ma la potenza della Parola genera un grido nel cuore del peccatore: "che devo fare per essere salvato?".


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